14 April 2025

Translation: Salvatore Quasimodo, Alleyway

Alleyway in Talin, Estonia by Bora Mici

This is Bora Mici's original translation from Italian into English of the 20th-century Italian poet, Salvatore Quasimodo's poem Vicolo, or Alleyway. I chose to translate this poem because of its evocative imagery, which I found to be almost painterly in its choice of descriptive elements. I also enjoyed its simplicity, which is characteristic of Quasimodo. He marries an emotional rendering with a visual one, which all great artworks achieve. The alleyway is both typical and personal in this poem. We can all imagine what it is like to have been there. 

Salvatore Quasimodo, Vicolo by Bora Mici

Alleyway

Sometimes your voice calls me back,
and I don’t know what skies and waters
awaken within me:
the sun’s web that comes apart
on your walls which at evening were
a swinging back and forth of lamps
from the shops open late
full of wind and sadness.

Another time: a canvas cloth flapping in the courtyard
and at night a cry could be heard
of puppies and children.

Alleyway: a cross of houses
that softly call to each other,
and don’t know it is frightening
to be alone in the dark.

11 April 2025

Art and Chemistry, A Reflection on Life and Energy

Bora Mici, oil paints palette and turpentine, 2014

This is Bora Mici's original text, written in Italian language, which may or may not contain some minor mistakes, since I am still learning this language. The text itself reflects on a thought my chemistry professor in high school shared with me about how artists are impressive because they create something out of nothing. At the time, I did not think much of it but over the past few days, I have challenged myself to use the subjunctive mood as much as possible, and this reflection on art, chemistry and added value is what emerged. You will follow my line of reasoning as to why we need to come up with a sustainable energy model for a better future. 

Ho una pagina bianca davanti a me e la devo riempire. Direi che si tratta già di una sfida di per sé. Una volta, dopo la lezione, il mio professore di chimica al liceo mi ha fatto un complimento e malgrado le sue parole incoraggianti e meravigliate non ne fossi rimasta convinta. All’epoca io ero molto impegnata negli studi, ed ero una brava studentessa in tutte le materie, anche se la pittura era la mia preferita. E tutti se ne accorgessero tranne di me. Dunque, un giorno, dopo che avessimo terminato le ore di classe, il mio professore di chimica, che era uno di quei tizi che cercavano sempre di star simpatici agli studenti, mi ha confessato che fosse rimasto sbigottito da una realizzazione dirompente. Aveva capito che i chimici non partono mai dal nulla per creare cose nuove, mentre gli artisti sì.

Allora, io direi che abbia ragione e no al contempo. Sebbene gli artisti partano da uno sfondo svuotato e ci mettano tutta la loro creazione sopra, che supponiamo, si inneschi dalla loro più profonda interiorità, non è che non godano di un supporto già esistente. In primis, benché possano essere convinti della loro sola autorevolezza, di essere un sistema autarchico a sé stante, gli artisti, come tutti quanti, si ispirano a un input, suscitato per forza da un fattore esteriore a loro, ad esempio un paesaggio oppure anche un sogno. Anche i sogni e le cose che ci immaginiamo non sono ermeticamente isolati dal mondo che ci circonda. Quindi gli stimoli esteriori si mescolano all'individualità di un'artista per far nascere un'opera d'arte che solo quella persona avrebbe potuto creare. 

Per non confonderci le idee, propongo che ci limitiamo ai pittori, quelli che dipingono un quadro sopra una superficie che consideriamo a prima vista priva di contenuto. E in questo non avrei risposto al mio professore di chimica che non avesse ragione. Però, in quanto chimico, avrebbe dovuto rendersi conto dell'importanza delle attrezzature di cui si servono i pittori per realizzare i loro dipinti. Non si può negare che troviamo tra di loro parecchi materiali creati con l’aiuto della chimica e della scienza e la sperimentazione, tra cui i pennelli con i peli naturali e quegli artificiali, le tele di cotone o lino ricoperte di uno strato di gesso liquido che fa in modo che la tela non assorbisca i colori, e non dimentichiamo i tubi dei colori stessi che vengono confezionati per la massima pigmentazione e perché la pittura possa perdurare attraverso i secoli. Forse il mio professore di chimica mi stava spingendo a riflettere proprio su questa interdipendenza tra artisti e chimici. Sara contento di sapere che ci sia riuscita vent’anni dopo e che la sua incitazione non sia andata sprecata. Quando mi ha condiviso la sua riflessione, per quanto l’avessi considerata con occhio scettico, non mi ero spinta fino alla conclusione dove sono arrivata oggi.

Adesso complichiamo un po' l'argomento, per inoltrarsi nel cuore del problema. Se prendiamo la teoria del valore aggiunto in termini economici, chi tra i chimici e gli artisti creano più di valore partendo da una basi materiale che poi trasformano per ottenere un nuovo prodotto? Sarebbe avventato pensare che non esistano anche artisti che scelgono di sfidare i limiti stessi degli attrezzi che impiegano, oppure quelli che ne inventano di nuovi. Per quanto possiate insistere che i chimici svolgono un lavoro essenziale e a fini pragmatici, perché appunto manipolano le sostanze e i componenti della vita, e forniscono gli ingredienti di altri prodotti più finiti, gli artisti e le persone creative sono i loro clienti più fedeli e non si stancano mai di mettere a frutta e di mostrare il potenziale del lavoro scientifico in ambiti diversi, dalla tecnologia all'uso innovativo di materie prime. 

Finalmente affronteremo un altro problema di tenore economico che in qualsiasi modo mi sembra difficile a dipanare e che ci permetterà una riflessione sulla totalità dell'esistenza umana sul pianeta terra. Mettiamo che il valore aggiunto sia un’invenzione umana molto importante per il nostro equilibrio psicologico che ci aiuti a sentirci valorizzati e ci dia l’impressione di poter crescere questo valore che portiamo anche agli altri, insomma che ci permette di sviluppare le ricchezze e fare progressi. Come facciamo a bilanciare l’equazione che pone da un lato le risorse limitate del pianeta e dall'altro questo valore aggiunto che ci dà l’illusione di poter progredire indefinitamente? Possiamo veramente creare qualcosa dal nulla come ha accennato il mio professore? 

Affinché questo si verifichi dobbiamo essere in grado di arginare a seconda della nostra volontà i poteri immensi della fisica quantica e far sicché una particella subatomica liberi un'energia tremenda che riusciamo a canalizzare, a conservare e a mobilitare a nostro volere. Perciò dobbiamo riuscire a creare più energie di quanto ne usiamo senza sprecarle. Però per quanto ne capisca io, e non sono un'esperta, secondo le leggi della termodinamica, l’energia si può soltanto trasferire, non si può ne produrne di più che ce ne sia già presente nell’universo, ne cancellarne o far sparire una parte. Dunque la realtà è che non possediamo mai niente ma prendiamo in affitto oppure prestiamo al mondo tutto ciò che riceviamo da lui durante la nostra vita per un intervalle limitato. Niente ci appartiene davvero a eccezione del tempo che abbiamo a disposizione. Dobbiamo capire come fare in modo da conservare lo stile di vita che vogliamo sia la norma e che ci possa permettere la convivenza più pacifica possibile come società unita.

21 March 2025

Translation: Francis Jammes, It's going to snow

Edvard Munch, New Snow in the Avenue, 1906

This is Bora Mici's original French to English translation of the poem "Il va neiger" or "It's going to snow" by the French 19th- to 20th-century poet Francis Jammes. Even though it is currently the beginning of spring in the Washington, DC area, I was feeling somewhat nostalgic for winter's silence and was drawn to this poem in Georges Pompidou's anthology of French poetry. What I like about this poem is its background of snow falling and the constant and enduring everyday quality of the objects it describes. It evokes a sense of peace and comfort and quiet and eternity, and a reckoning with our innermost strivings to change the world around us by labelling things and thus seeking to possess them and make our imprint on them.  

Francis Jammes, Il va neiger... by Bora Mici

It’s going to snow…

It is going to snow in a few days. I recall
a year ago. I remember my sad thoughts
by the fire pit. If you had asked me though: what is it?
I would have said: let me alone. It’s nothing at all.

I have thought long, last year, in my room, I remember
whilst the heavy snow fell out the door,
My thoughts were naught. Now as before
I am smoking a wooden pipe with an end piece of amber.

My old chest of drawers still smells good of oak,
I was stupid because so many things
could not change and it’s just posing
to want to estrange the things we cannot stoke.

So why do we think and speak? It’s
our tears and kisses, they, don’t speak, [funny thing;
and yet we understand them, and the steps
of a friend are sweeter than sweet words linked.

We have baptized the stars without much thought
and they did not need a name, and the numbers,
which prove that the pretty comets in dark slumbers
will pass, all the same, will not make them change their lot.

And even at this moment, where are my sad fits
from last year? I barely remember them.
I would persevere: Leave me alone, it’s nothing ahem,
if you came into my room to ask me: what is it?

13 February 2025

Message to the World, An Existentialist Meditation

This is Bora Mici's original short analysis in French of the reason why people like to imitate each other and want the same things. The conclusion indicates a different, more subtle, approach to life.

Un soupçon

Je voudrais expliquer ici les causes latentes du désir mimétique, identifié comme concept par René Girard dans son livre éponyme. Le désir mimétique nous pousse à vouloir imiter les autres. A titre d’exemple, dans le cas de l’engouement pour les smartphones, on dirait que tout le monde a voulu le même produit en même temps, ce qui a explosé les ventes et a fait du smartphone un objet à la fois indispensable, pour les consommateurs, et rentable, pour les créateurs. Mais qu’est-ce qui se cache derrière cette impulsion de briguer tous les même choses en même temps, de se ruer comme des moutons de Panurge pour avoir du dernier cri? Tout d’abord il y a la vanité. Notre vanité et par conséquent notre estime de nous-mêmes dépend du regard d’autrui, comme l’a défini Jean-Paul Sartre au sein de sa philosophie existentialiste, qui veut que l’existence précède l’essence.

Tout simplement, on tire l’idée qu’on se fait de notre propre valeur de ce que nous pensons les autres pensent de nous. Au cours du déroulement de ce mécanisme subtil intersubjectif, on se plie à notre nature innée en tant qu’êtres sociaux, qui ont besoin de s’accorder pour mieux vivre ensemble et pour donner un sens aux choses de la vie. Donc, on essaie de nous cerner nous-mêmes à travers la façon qu’on perçoit que les autres nous cernent à leur tour, et comment ils cernent d’autres personnes encore. Cela fait un effet domino, et tout d’un coup, on se retrouve tous avec la même idée.

C’est en établissant des normes en commun et définissables qu’on est mieux placés pour réussir notre coexistence. En conséquence, on joue des rôles prédéterminés qui nous aident à établir et maintenir un ordre et souvent une hiérarchie sociale, c’est-à-dire on assigne des essences préalables à notre identité sociale. Ces rôles, selon Sartre, relèvent de la mauvaise foi. Par exemple, nous nous disons qu’on est des employés de banque, alors qu’avant tout, on devrait revendiquer notre liberté radicale et ne pas se conformer à l’ordre établi sans reflexion.

En même temps que nous souhaitons épater nos collègues par notre adhésion bien adaptée aux règles sociales, on reste aussi des êtres foncièrement individualistes qui veulent surpasser nos homologues. On assure donc notre primauté aux yeux de nos semblables en empruntant des chemins qui sont socialement acceptables, soit la concurrence sous-entendue et bien valorisée. Donc on va tout faire pour garder ou améliorer notre statut social parce que ça nous permet une meilleure situation économique et aussi un meilleur contrôle sur comment on est perçus, par les autres, mais surtout par nous mêmes. Un tel atout fait en sorte qu’on puisse mieux s’intégrer et donc satisfaire notre besoin social, et en même temps de se distinguer pour mieux nourrir notre envie de vaincre. On dit qu’on est notre pire critique, mais en même temps on est notre meilleur agent de pub, engendrant chez autrui le désir d’être comme nous, de vouloir ce qu’on possède, de se voir à travers nos yeux.

C’est pour toutes ces raisons qu’il faut plus se laisser absorber par le moment présent. On a moins d’attentes et on anticipe moins, deux façons d’exister qui sont anxiogènes, et que les smartphones par exemple suscitent en nous demandant d’être toujours connectés à un monde virtuel. On devrait par contre profiter pleinement de la vie, qui se déroule au présent. De toute façon, il faut aussi apprendre du passé et se projeter dans l’avenir parce que la vie en société l’exige, mais je pense qu’on devrait minimiser ces deux aspects de vivre et être plus sereins. Ce sont les querelles du passé qui nous hantent dans l’avenir et ce sont nos aspirations pour protéger notre propre avenir qui peuvent conduire à des guerres insensées. On devrait être moins rancuniers, moins égoïstes et plus généreux et indulgents. On doit comprendre que lorsque nous regardons dans les yeux d’autrui on cherche avant tout l’amour. Mais comme on ne sait pas aimer parfaitement puisque on est tous différents et avons vécus des expériences divergentes, on est toujours obligés de pardonner à autrui et de faire de notre mieux pour communiquer avec honnêteté. Après tout, la vie en société est une projection en continu.